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La versione di eva

Correvano gli anni Novanta in Argentina, tempi di rampanti misure economiche liberiste. A Buenos
Aires affluivano alcuni inviati speciali per conto di testate italiane. Ricordo un pomeriggio, mentre
camminavo con Maurizio Chierici per il quartiere di Belgrano. Conversiamo sulla situazione del
momento. La vera domanda è – diceva lui – cosa succederà una volta che lo Stato avrà completato
le privatizzazioni. La risposta arriva poco dopo. Il presidente radicale De la Rua subentra al
peronista Menem nel 1999. Dopo i primi mesi di governo, Domingo Cavallo – già ministro di
Menem – viene chiamato a reggere i destini dell’economia argentina ogni volta più in sofferenza. La
profonda crisi economica, qualche anno prima solo paventata, si riversa sulla società.

Cronaca di una crisi annunciata. Questa breve parabola di benessere artificiale mi è tornata in mente mentre leggevo le pagine di La versione di Eva, romanzo inchiesta di Iaia Caputo, appena pubblicato
dall’editore Mondadori. Cosa sarebbe successo della folgorante ascesa di Eva Duarte de Perón, se
lei non fosse mancata all’improvviso, mentre era al culmine della popolarità? Inutile tentare di dare
una risposta, solo la storia avrebbe potuto offrici quella autentica se il suo destino fosse stato un
altro. Meglio allora immergersi nella ricostruzione biografica a più voci elaborata nel romanzo.
Caputo ha interpellato testimoni diretti e indiretti, ha visitato i luoghi che custodiscono il ricordo di
Evita e si è documentata tra le molteplici pagine dedicate alla leader dei descamisados.

Nell’arco di vari decenni, ricorrono proprio nel 2022 i settant’anni dalla sua morte, non sono mancati gli
agiografi, i romanzieri, i critici, i biografi e gli storici pronti a misurarsi con l’enigmatica personalità
della leader politica argentina che senza nascondere la sua condizione di donna nata svantaggiata, in
quanto frutto di un’unione adulterina, a metà secolo XX diventa la compagna del presidente di uno
stato allora florido. Ci si avvia verso la conclusione del secondo conflitto e in Europa milioni di
abitanti vivono miseramente.

Qualcuno ricorda ancora la visita di Eva al Papa, a Francisco Franco in Spagna, al presidente italiano, ricorda gli aiuti arrivati alla popolazione per sfamarla e vestirla (la lana della Patagonia, il grano delle Pampas). Donna giovane, mandata da Perón in sua vece, Eva catalizza l’attenzione della stampa con il suo messaggio di riscatto e speranza. Ma chi fu Evita? Iaia Caputo riesce a rendere convincente una storia intessuta di aneddoti riportati con l’occhio attento al loro valore simbolico.

Si prenda ad esempio la rievocazione del funerale del padre naturale di Evita, un’esperienza che segna a fuoco la sensibilità infantile dell’ultimogenita di Juana Ibarguren. “Juan Duarte compiva il suo ultimo viaggio nella menzogna, circondato dalla rispettabilità che si addiceva al suo rango, dai notabili del luogo, dai consiglieri comunali, dal sindaco, dal parroco, dalla sua famiglia legittima, e ricordato per quello che aveva voluto essere agli occhi della gente e non per ciò che era stato.”

Nella suo discorso la narratrice propone un registro non privo di immagini talvolta insolite, in genere più asciutte ma altrettanto significative, in perfetta consonanza con quanto narrato. Trapela l’eco di certa narrativa latinoamericana, lussureggiante nei dettagli che piegano i fatti alla logica onirica tanto cara al realismo magico.

L’accattivante titolo, con l’implicito rimando al romanzo del canadese M. Richler, ha uno
straordinario potere evocativo e ci proietta a metà del secolo scorso. “La versione di” – che il lettore
impara subito a interpretare quale fosse un plurale, vale a dire “le versioni di”- è la spia della scelta
narrativa operata da Caputo nel riproporre un profilo veritiero di Evita, non esente da luci ed ombre.
Tra detto e non detto, tanto i punti fermi quanto i momenti poco chiari della sua attività politica
sono ricostruiti con cura e delineano la brevissima vita di una ragazzina animata da un enorme
desiderio di rivalsa quando arriva a Buenos Aires. La sostiene la sua ferrea volontà di emergere,
mentre sopporta privazioni e umiliazioni. Le voci narrative si susseguono, sovrapponendosi e
contrapponendosi.

Eppure La versione di Eva, proprio quella che con fievole voce appare in pochi paragrafi, mentre prevalgono le versioni degli ammiratori e dei testimoni che la frequentarono, ha la forza di trasmettere il mistero di un’esistenza che l’autrice ripercorre in chiave critica. Tante sono le versioni che nel tempo si sono addensate attorno alla sfuggente e camaleontica figura di Eva Duarte, passata all’immortalità all’età di 33 anni, dopo aver primeggiato sulla scena politica argentina per poco meno di un decennio, inesperta ma determinata, intransigente e perspicace.

Da alcuni anni a Buenos Aires uno spettacolo teatrale continua a attirare il pubblico nelle sale,
attive a singhiozzo a causa della pandemia. Eva y Victoria, testo teatrale scritto da Monica Ottino
nel 1986, ai tempi della presidenza di R. Alfonsín, vuole scandagliare le ragioni che resero faticosa
e incompiuta l’armonia tra gruppi politici contrapposti. Lo spettacolo fu portato sulle scene la prima
volta da due attrici di estrema bravura. China Zorrilla interpretava Victoria Ocampo, emblema
dell’antiperonismo, e Luisina Brando recitava nei panni di Evita trentenne. Racconta China che
durante una replica si commosse nel sentire alzarsi una richiesta dalla platea. “L’aiuti” … disse una
voce femminile esitante. L’opera narra un incontro improbabile, sul modello dei colloqui fantastici
postumi che tanto divertivano i radioascoltatori italiani negli anni Settanta. L’incontro non sarebbe
mai potuto capitare per tante ragioni, ma la finzione teatrale lo colloca tra il 1947, quando Evita
cerca consensi per ottenere il voto delle donne, e il 1952.

Curioso e significativo il percorso di emancipazione politica femminile in Argentina. Fu una battaglia comune alle due donne: se la Ocampo e le suffragette argentine di inizio novecento falliscono nell’ottenere questo riconoscimento politico servendosi dei dispositivi democratici di quel tempo, diverso risultato ottiene Eva, che può arrogarsi il merito di averlo conquistato.

Ma è una vittoria inficiata di fiele amaro, perché si fonda su un calcolo perverso, quello dell’apparato che sa sfruttare ancora una volta la posizione subordinata della donna nella società per strappare vantaggi elettorali. Il movimento femminile capeggiato da Evita rappresenta una fetta di elettorato ligia alle direttive calate dall’alto, mentre il maschilismo imperante, di cui la stessa Evita si serve per ritagliarsi uno spazio pubblico, si associa al caudillismo latinoamericano, una delle piaghe che erodono il funzionamento delle istituzioni democratiche, volute nella Costituzione repubblicana del 1853, più volte rivista.

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