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150 mila chilometri di viaggi bianchi

Perché l’uomo viaggia? Cosa muove il suo mettersi in cammino e raggiungere una meta diversa da quella dove vive quotidianamente? La ricerca di un diversivo rilassante, eccitante, diverso, nuovo? La voglia di conoscere nuove terre? La curiosità verso una cucina diversa, costumi e usanze particolari? La necessità di staccare la spina e astrarsi dalla realtà?

Sono pochi i viaggi fatti per scoprire se stessi attraverso l’incontro con l’altro da sé. 

Ancora meno i viaggi che uniscono a questo anelito la volontà di documentare personalmente quanto si è studiato a scuola o quanto si apprende dalla lettura di giornali o dai libri; viaggi cioè che si fanno essi stessi testimonianze e documentari dal carattere personalistico. 

Pochissimi i viaggi che sommano a queste precedenti il carattere della meta, i memoriali.

Ecco, i Viaggi bianchi di Jean Paul Stanisci appartengono a questa ultima categoria; e il carattere di unicità è conferito dal fatto che l’autore possa vantare un numero così alto di mete (ben sette memoriali) per un totale di centocinquantamila chilometri.

A questa scelta cromatica l’autore dà una motivazione precisa che sottolinea sempre anche durante le presentazioni. Il bianco è il colore del fiore di loto che affonda le radici nella melma, ma si regala a noi spettatori candido. E allora, così come la bellezza di questo fiore spunta nella più putrida delle paludi, così la dignità umana emerge con grande forza proprio nei luoghi dove è stata maggiormente dissacrata. 

Accade quindi che nel luogo dove la presunta scienza si è rivelata fallimentare la natura si riappropria dei suoi spazi e insieme a lei della vita (Chernobyl); in uno dei campi degli eccidi di massa studiato a tavolino dai nazisti la voce di chi è sopravvissuto restituisce il senso vero della vita e della libertà a chi va per mettersi in ascolto (Auschwitz); nelle terre dove guerre civili assurde hanno portato all’eccidio terribile di adulti e bambini da parte di regimi politici scellerati oggi si celebra la vita scegliendo di lasciar riposare quei corpi nel luogo dove si sono separati dall’anima, senza la sovrastruttura di un museo (Cambogia e Rwanda); nella città vittima di un’arma dalla potenza distruttiva in forma totalizzante e con effetti a lungo raggio il messaggio consegnato è che per costruire la pace nel mondo serve prima costruire la pace nel proprio cuore e con la propria famiglia (Hiroshima). E così per le altre mete che scoprirete leggendo.

Ma ci sono tanti altri “significanti” che attestano la puntualità di questa scelta.

Il bianco è il colore della morte in molti paesi orientali, delle clasule di coloro che officiano i riti sacri ma anche dei parenti che vestono il lutto. E l’autore incontra la morte nelle sue svariate “forme” insegnandoci – come ha imparato lui – che altrove essa è un passaggio naturale, non opposta alla vita ma sorella della vita stessa, celebrata, rispettata, non temuta né demonizzata. 

I libri:

D. Jean Paul Stanisci, Viaggi bianchi, Aga edizioni 2018

D. Jean Paul Stanisci, Ancora viaggi bianchi, Aga edizioni 2020

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