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Un popolo in cammino

Un popolo in cammino di Paolo Ciampi (Biblioteca Errante Edizioni) è un miscuglio di tante cose: di
cammino, di fantasticherie, di buon vino e buon cibo, di storia, di archeologia, di Etruschi e di
tanto di tufo. Il tufo, una roccia friabile, porosa, fragile dal colore caldo sulla quale, attorno alla
quale e dentro alla quale si è sviluppata un’intera civiltà. Una civiltà che ben volentieri scopriamo,
o riscopriamo, attraverso la sempre frizzante narrazione di Ciampi, che – vai a sapere perché
–ricorda tanto il lambrusco.

La linea rossa all’interno della copertina traccia un percorso (diviso in due trance, causa Covid) che va da Chiusi a Porto Santo Stefano e si snoda tra boschi, vie cave, borghi, sentieri e tratti d’asfalto. L’obiettivo è percorrere un tratto della strada sicuramente percorsa più e più volte nei secoli da questo popolo, tanto misterioso quanto affascinante.

Dopo aver letto questo racconto ho deciso di dedicare una mezza giornata delle mie vacanze
estive proprio agli Etruschi per cercare le stesse sensazioni provate da Ciampi e trasmesse al
lettore, come è tipico dell’autore, in modo diretto, semplice e ricco allo stesso tempo. Inizialmente
mi pongo come obiettivo una breve tratta del percorso a piedi descritto nel libro: Pitigliano,
Sovana e Sorano, ma subito mi rendo conto che, come spesso accade quando si è in vacanza, è
impossibile calibrare correttamente i tempi e gli spazi; Sovana salta, ma pazienza, Pitigliano e
Sorano sono un assaggio davvero sostanzioso…e il tutto fornisce la solita buona scusa per
proiettarsi verso il futuro: dovrò tornare per recuperare la visita a Sorana e chissà, magari troverò
anche il coraggio di percorrere anch’io a piedi, un tratto di quel percorso.

Mi rendo subito conto che, come sottolineato più volte nel racconto di Paolo, il tufo è un
protagonista assoluto della storia degli Etruschi, e che recarsi nei luoghi etruschi significa stare
materialmente nel tufo.

Lo intuisco quando, dopo un tornante, provenendo da Orvieto, mi trovo davanti Sorano: l’ultima
cosa che mi sarei aspettata di vedere dopo chilometri di nulla e soprattutto l’ultima cosa – un
borgo – che mi sarei aspettata di vedere aggrappata ferocemente, a quel modo, a non si capisce
cosa: sembra una delle città invisibili di Calvino, comparsa dal nulla e sospesa nel nulla e così
comprendo subito cosa intende Paolo quando scrive “Sorano è sorpresa dietro la curva, bellezza aspra per cui non ero pronto, presenza millenaria e ambiente selvatico intorno. Il mare, questa è la
prima cosa che mi viene in mente: il mare e una di quelle isole di roccia dall’approdo complicato.
[…] Sorano, sperone di roccia, circondato da altre rocce.

Tufo che si è fatto borgo circondato da tufo che è ancora foresta. Consistente come la materia di cui è composta eppure evanescente come le visioni del dormiveglia”. Impreparazione, è proprio questa la sensazione che mi attanaglia appena vedo Sorano, è una presenza nel senso che ti pare di avvertire, in un sol colpo, la presenza, appunto, dei vivi ma anche dei morti: li senti aggirarsi per le vie di pietra tra le abitazioni indefinibili ed inimmaginabili.

Di fronte ad una facciata fatta esclusivamente di tre porte e tre numeri civici non puoi che chiederti dove portino quelle tre porte, dove sia lo spazio materialmente abitato da qualcuno e non può non venirti il dubbio che non sia umano ciò che respira tra questi vicoli. Entri, ti aggiri, osservi stupito ciò che ti circonda ma poi non sai più come uscirne, forse semplicemente non vuoi uscirne perché la magia di Sorano ti avvolge, si impossessa di te. E li senti gli Etruschi, eccome, le presenze millenarie che hanno guidato Ciampi nel suo cammino tra borghi, boschi, tombe, musei, pronunciando quella lingua misteriosa, quei pochi nomi che ci sono accessibili, quasi a richiamare gli spiriti tutelari di un viaggio a piedi su più dimensioni spazio-temporali.

Molti, racconta sempre Ciampi, e soprattutto inglesi – vai a sapere perché – si sono occupati di Etruschi. Ciampi ci snocciola nomi e avventure di studiosi famosi che si sono occupati di questi luoghi e del loro passato e spiace avere il sospetto che, come capita spesso, a non occuparcene a sufficienza siamo sempre noi italiani, eredi, chi più chi meno direttamente, di questa grande civiltà.

Ed è forse questa misteriosa attrazione che richiama gente da lontano, tanto che quando l’occhio
mi cade su un libro appoggiato allo scalino di un uscio non mi stupisco più di tanto che il titolo sia
in tedesco e che in un attimo il libro finisca, come per attrazione, tra le mani candide di una
biondissima ragazza che spunta dalla cornice di tufo di una di quelle misteriose abitazioni, che sai
dove iniziano ma non sai dove vadano a finire.

Spontaneo e naturale mi esce un guten Abend. E altrettanto spontaneamente mi inquieta scoprire che sto camminando nel cuore di un ghetto ebraico: sì, a Sorano, come a Pitigliano, c’è un ghetto ebraico. E il pensiero mi porta al ’44 e comincio a chiedermi dove passassero le linee di avanzamento degli Alleati e fantastico sul fatto che forse tra il tufo e le foreste circostanti e le vie cave era più facile fuggire e nascondersi. Fantasie senza fondamento, penso, ma sta di fatto che in un posto del genere un ghetto ebraico proprio non te lo aspetti.

Pitigliano, che in realtà ho battuto per prima per poi esplorare Sorano, “grumo abitato a picco,
sparviero appollaiato sulla cima delle forre”, aveva anticipato tutto questo, con le sue due strade
parallele dalle quali si dipartono delle strette viuzze laterali, ognuna con in fondo il suo panorama
sui boschi e i calanchi circostanti. Emerge dalla roccia con la sua storia impressionante e i
retroscena dei quali Ciampi, curioso ricercatore, ci dà puntualmente notizia a solleticare anche la
curiosità del lettore. Viuzze oscure, che ancora ricordano quelle di borghi di mare, come Rovigno,
in fondo ai quali ti trovi a picco sugli scogli, con il vociare e il begare, direbbe Saba, dei suoi
abitanti.

È sempre colpa di Paolo Ciampi se ormai viaggiare è diventato qualcosa di diverso da quegli spostamenti stagionali di massa che si chiamano vacanze? O sarà semplicemente l’età? Sta
di fatto che, come Ciampi nel suo errare a piedi dai mille risvolti, me la godo. Come mi godo questi
panorami surreali, sento il respiro dei Rasna che salgono dai boschi e porgo l’orecchio al rumore
dell’acqua, poca temo, che scorre nei fiumi sottostanti, invisibili all’occhio e che silenziosamente
hanno scavato nei secoli queste valli di una Toscana forse, ingiustamente, poco conosciuta.

E che ne sarà di tutte queste impressioni mozzafiato? Lo so già che tra pochi o molti giorni mi
aspetterà quel lavorio interiore, quell’andare e tornare con la memoria, con l’immaginazione a
questi luoghi. Quel chiedermi se ci sono stata davvero o se ho solo sognato. Perché il viaggio è una
filosofia, è un andare e un tornare, un partire in un modo e uno scoprirsi poi, lentamente, diversi
da prima.

I viaggi sono così: che tu stia tornando a Itaca a Firenze o in Friuli, sai (forse) come parti, ma non
sai come ritorni. Leggere, sempre di Paolo Ciampi, Anatomia del ritorno (Italo Svevo edizioni) per
credere.

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