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La distopia di Jean paul e la sfida del cambiamento

Questa volta Jean Paul Stanisci ha scelto un romanzo distopico per affrontare tematiche importanti e per invitarci a riflettere su questioni sociali, politiche, filosofiche, descrivendoci uno scenario futuro non proprio roseo, manifestando le sue inquietudini e i suoi timori, ma anche una sensibilità ed attenzione non comune verso e per il futuro. In Equilibrium. Morire non ti salverà (Bertoni edizioni) attraverso la scrittura, alcune paure diventano reali, corporee, fisiche e tangibili. La malvagità dell’uomo prende il sopravvento sopraffacendo l’umanità, intesa non solo come “genere umano”, ma come qualità morale degli individui, cancellando ogni traccia di comprensione, indulgenza, cortesia, solidarietà, compassione.

Attraverso il registro narrativo, J.P. dà vita ad una distopia, descrivendo lo scenario futuro e finale di una serie di avvenimenti, scelte e azioni compiute dall’uomo autodistruttive e irreversibili. 

Come in ogni romanzo distopico, i protagonisti di Equilibrium dovranno affrontare una serie di topos: da sopravvissuti, saranno spettatori delle conseguenze di una pandemia e di un misterioso virus dal nome poetico (Purple coral) e dagli effetti devastanti, un  virus, di origine ignota, che si comporta come un vero e proprio parassita, attaccando ed attecchendo nell’uomo, utilizzando il proprio ospite, sfruttandolo per la propria sopravvivenza e cibandosi di esso; riscopriranno, riadatteranno e riconsidereranno il rapporto tra uomo e nuove tecnologie, grazie alle quali potranno godere di qualche inaspettata comodità e fugace lusso, ricordo e monito di un rovinoso passato,  della contingenza del presente e della nuova quotidianità che sembra esigere un continuo ripensamento ed adattamento delle più elementari abitudini di vita come delle più sofisticate innovazioni, del tutto inutili ed inutilizzabili se non adeguate al nuovo scenario; scopriranno nuovi regimi politici, forme di organizzazione sociale a volte anarchiche, a volte basate sul terrore, l’intimidazione, la violenza e, più raramente caratterizzate da una condizione di serena ed equilibrata convivenza, paritaria e collaborativa tra i loro membri, ma anche utopica e precaria, perché facile bersaglio  di nemici esterni quanto dell’ambizione e avidità dei componenti degli stessi gruppi. 

Nel romanzo sono evidenti le esperienze e soprattutto i viaggi fatti dall’autore, le visite ai c.d. luoghi della memoria, memoriali di catastrofi umanitarie, genocidi, massacri, attentati, eventi non casuali, ma pianificati e perseguiti con lucidità, determinazione e spregiudicatezza dall’uomo. Questi luoghi costruiti per mantenere sempre vivo il ricordo di quegli orrori/errori, che dovrebbero aiutarci a non ripeterli, a riflettere sul presente e sul futuro, oggi sono solo oggetto di qualche sguardo superficiale e distratto e di qualche scatto da postare sui social e per molti sembrano aver esaurito il loro compito. 

Chi conosce J.P. saprà intravedere in molte pagine le sue scelte di vita, personali e professionali, l’attenzione costante verso alcune tematiche come quelle filosofiche ed etiche, approfondite anche attraverso la lettura di opere di importanti autori e pensatori del nostro tempo. Ogni capitolo vi farà, probabilmente, pensare a un girone dantesco, in cui dei non-morti, scontano delle pene, non comminate dalla volontà divina, ma da quella umana.

In questo viaggio, nel tempo e nella storia, una storia che si ripete, come se il futuro stesso fosse già accaduto, vi capiterà di approdare su una piccola isola, di conoscere una bambina che, come la piccola Anna Frank, ha annotato sul proprio diario i suoi pensieri, descrivendo tutto ciò che le è successo, le proprie speranze, il mondo intorno a sé, i cambiamenti, la paura, il crescente senso di insicurezza, la violenza che aumenta e si fa sempre più vicina, fino a sfiorare la sua famiglia e scene che ricordano le deportazioni. 

Al termine del romanzo forse vi chiederete se ciò di cui siete stati spettatori non sia un blando e superficiale “trasformismo”; se i protagonisti e antagonisti del romanzo non si siano semplicemente adattati alla nuova situazione sociale, politica ed economica senza averne tratto alcun insegnamento per il futuro. Scetticismo e diffidenza, alimentati dalle vicende raccontate in questo libro, vi faranno pensare che certi meccanismi, certi errori e alcuni atteggiamenti sono naturalmente e inevitabilmente destinati a ripetersi ciclicamente e che l’uomo non sia capace di un vero cambiamento e preferisca che tutto resti o torni ad essere come è sempre stato.   

Le parole di Tancredi “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, potrebbero diventare una possibile chiave di lettura di questo romanzo, anche se mi auspico che i lettori non si arrendano mai a questa logica, e che, nonostante la  bulimia di informazioni e immagini ci abbiano assuefatto ad essere quotidianamente spettatori di atrocità e violenze, ogni lettore sia ancora capace di inorridire, indignarsi e ribellarsi di fronte alla descrizione delle  atrocità di esseri che si definiscono umani e a un futuro che può essere ineludibile solo se vogliamo che lo sia. Affinchè questo non accada è necessario che ciascuno sia “il cambiamento che vuole vedere nel mondo”. Per trasformare ciò che c’è intorno a noi, dobbiamo prima di tutto essere disposti a cambiare noi stessi

Il pregio di questo romanzo è sicuramente quello di farci riflettere su quanto accaduto o non accaduto  durante questi ultimi due anni in cui abbiamo  dovuto imparare a condividere con un virus che ha fortemente condizionato le nostre scelte, prospettandoci scenari inediti, che nel romanzo si spingono sino all’imbarbarimento dell’umanità ed al regresso a una condizione quasi primitiva di esistenza, in cui gli spazi creati dall’uomo appaiono sopraffatti dalla forza espansiva e dalla vitalità della natura che torna a riappropriarsi di ciò che le è stato rubato e gli animali  dei loro habitat. 

Preparatevi ad esplorare e confrontarvi con un mondo nuovo, a scoprire come sopravvivere a un virus letale quando non si ha più nulla, ad essere catapultati da un luogo all’altro del globo terrestre ed a sentirvi come una schizofrenica biglia di un flipper, spinta dalle pinne verso bersagli ignoti e respingenti. 

Spero che non siate lettori claustrofobici perché questo romanzo vi porterà, proprio come accade nel libro di Verne Viaggio al centro della terra, ad esplorare il ventre del nostro pianeta, dove potrete rilassarvi, se ci riuscirete, in inaspettati bunker o visitare basi scientifiche e hangar; siate pronti a percorre le vie di una decadente Roma Imperiale, priva dei fasti e  dell’organizzazione politica e militare a cui i libri di storia ci hanno abituati,  in cui non incontrerete cittadini avvolti in candide  toghe o tuniche, ma brufolosi, arroganti e griffatissimi teenager, diffidenti e per nulla empatici e una nuova razza: quella degli immuni, persone senza un vero lavoro, senza soldi, senza precisi ruoli sociali, ma con un prezioso sistema immunitario, il solo che probabilmente potrebbe permettere all’umanità di non estinguersi.  

Se amate il circo, quello della vita, descritto in uno dei capitoli, vi sorprenderà per la sua efferatezza, per la varietà delle torture, che neanche la fantasia del più fervido inquisitore sarebbe stato in grado di concepire. Vi ritroverete in un parco dei divertimenti (degli orrori) in cui uomini e donne vengono usati come bersagli e birilli da altri individui incuranti delle sofferenze loro inflitte a propri simili. 

Se vi aspettate che una visita al mercato denominato The ring sia una piacevole esperienza all’insegna dello shopping, tra colorate bancarelle, mercanti vocianti e signore in cerca di buone occasioni, resterete delusi. Preparatevi a varcare i confini di un luogo in cui si lotta per la sopravvivenza e dove tutto è in vendita e ogni cosa può diventare merce di scambio: il lavoro, il tempo, il corpo, gli affetti, la dignità. 

A separarci e proteggerci da tutto questo c’è solo una linea immaginaria, che esiste solo nelle carte geografiche: il virus scompare misteriosamente al di sotto dell’equatore come se fosse solo una questione di latitudine e quel parallelo costituisse un’invisibile barriera tra la vita e la morte. I paesi dell’emisfero meridionale si trasformano, all’improvviso, in luoghi di speranza e di salvezza, da cui nessuno fugge più, e nei quali tutti cercano rifugio, divenendo una sorta di culla o (incubatrice) rigeneratrice della civiltà, da cui l’uomo è costretto a ripartire, in condizioni primitive di esistenza anche dal punto di vista morale e materiale, per riprogrammare il futuro. 

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