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Il mondo intero tra i vigneti del Chianti

In un pampino c’è la mappa del viaggio. Ogni linea che attraversa e incide la foglia della vite porta ad un luogo, un altrove fatto di scoperta e conoscenza, emozioni, pensieri, introspezioni. E’ da quelle piccole linee, più marcate o appena tracciate, che si dipana un viaggio tra Asia, Africa e le colline del Chianti. Radda in Chianti, per essere precisi, enclave del vino che da secoli viaggia nel mondo e porta ovunque la toscanità. Lungo i tratti di un pampino – come sulle linee del palmo di una mano – si incontrano storie di viaggiatori, scrittori, esploratori. Tutto comincia da una bottiglia di vino, la sua etichetta, un viaggio in Malesia, un libro, il coronavirus. Già, lo stramaledetto virus che vorrebbe costringerci all’isolamento; che usa il senso di smarrimento e la paura per rinchiuderci in una bolla di individualismo, diffidenza, indifferenza dove ognuno pensa a salvare se stesso chiudendo fuori e lontano tutto il resto. E tutto il resto sono persone, non numeri. 

La dittatura del Covid pianifica, livella, azzera ma proprio in un giorno come i tanti che stiamo vivendo, attraversati dal bollettino di guerra con la conta di positivi, ricoverati, intubati e morti, Paolo Ciampi tira giù dallo scaffale più alto della libreria una bottiglia di Chianti, con un’etichetta e il volto di un uomo con barba e cappello che guarda lontano. Un volto vissuto, tratteggiato a mano; un disegno che si fa mappa per nuove esplorazioni: Odoardo Beccari e quello è il suo vino dentro il quale c’è l’impresa di uno tra i più grandi esploratori e scienziati dell’Ottocento, il primo a vivere nella giungla del Borneo, annotando sul taccuino ogni pianta, animale, minuscolo organismo, sasso, altopiano, dirupo e cascata.  

In Le bottiglie di Odoardo (Betti editore) la narrazione di Paolo Ciampi mette a fuoco l’essenza di un uomo incrociandola con la sua, nei giorni silenziosi e desolati del lungo lockdown: un pomeriggio di aprile con la primavera che avanza spavalda e meravigliosa e il virus che chiude, vieta, allontana. Un giorno in cui quella bottiglia di vino tirata giù dallo scaffale zeppo di libri, diventa il filo conduttore di un nuovo viaggio attraverso il quale lo scrittore e giornalista fiorentino sa condurre il lettore coinvolgendolo in ogni sfumatura. 

E’ una riflessione profonda intorno alle avventure di un uomo, oltre un secolo fa, che ha lasciato traccia e a ciò che un uomo, oggi, sta attraversando tra mille dubbi e un pesante senso di smarrimento. E’ il viaggio restando a casa, l’antidoto al neutro del Coronavirus; è il viaggio della mente e dell’anima che porta fuori a respirare, a immaginare i colori della natura in rinascita. E’ ancora il viaggio a collegare il fuori e il dentro perché come scrive Ciampi “i viaggi ai tempi del coronavirus sono un tappeto volante di parole”. 

Odoardo Beccari è il passepartout per arrivare – o tornare – a Emilio Salgari del quale lo scrittore fiorentino è ineguagliabile esperto oltrechè inguaribile appassionato. Il canovaccio su cui si snoda il racconto è il viaggio fisico di Ciampi in Sarawak, la terra di Sandokan e dei Tigrotti di Mompracem, l’isola evocata, sognata, immaginata in una ricerca continua che Paolo non concluderà mai perché è da lì che trae la potenza dei suoi libri. L’isola è ormai parte di sé, la pensa allungando lo sguardo sulla collina davanti a casa e tra i pensieri quel piccolo pendio prende la forma di un nuovo itinerario. 

E’ intrigante il libro di Ciampi perché sono tanti libri in uno, perché in un lembo di Malesia, in una improbabile libreria trova un libro che mai avrebbe pensato di incrociare proprio lì: si intitola “Nelle foreste del Borneo” e l’autore è: Odoardo Beccari. Al rientro a Firenze, Paolo si precipita in biblioteca desideroso di conoscere chi è quest’uomo e la sua impresa nella terra di Sandokan. La scoperta ha un effetto dirompente per un “salgariano” come lui: l’avventura di Odoardo Beccari ha ispirato i romanzi dello scrittore veneto; è lui la sua mappa interattiva, il suo ponte con la terra in cui trasferisce la sua immaginazione, crea la trama dei suoi libri. 

Davanti a Paolo si apre un mondo sull’uomo della bottiglia di Chianti e comincia con lui un cammino dall’Asia all’Africa. Fino al ritorno alle radici, a Radda in Chianti dove la madre di Odoardo gli aveva lasciato un pezzo di eredità: una villa bellissima e la terra, le viti, le vigne. Vignavecchia, per l’appunto, il nome della tenuta. Qui Odoardo non si ferma, bensì impara a viaggiare nel mondo lavorando al parco botanico che realizza con piante esotiche diventandone uno dei massimi esperti, in particolare profondo conoscitore di palme.

Arriva al punto che non è lui a viaggiare per studiare le palme dove stanno, bensì sono le palme ad essere spedite a Radda in Chianti da università e centri di ricerca interessati ai suoi studi. La giungla del Borneo la ritroverà nella foresta di Vallombrosa, altro luogo speciale per Paolo Ciampi nel quale conduce il lettore regalando la sensazione del vento che agita le chiome di alberi secolari, la melodia di cascatelle e piccoli ruscelli d’acqua che scendono dalla montagna e scavano disegni fantastici sulle pietre. L’autore stabilisce un ponte tra la natura selvaggia del Borneo e quella ordinata di Vallombrosa, con la cura del bosco che nel tempo i monaci assicurano esaltando e le bellezze del Creato. E alla fine, non c’è distanza tra la Malesia e le colline tra Firenze e Siena, tutto si tiene, tutto diventa a portata di mano. Potenza della scrittura. 

Nella sera di un giorno d’aprile, Paolo decide che è arrivato il momento di aprire la bottiglia di Odoardo: un brindisi alla forza della vita oltre il coronavirus; alla rinascita che è già qui. Un brindisi “per il Chianti e per Mompracem. Per Emilio e ovviamente anche per Odoardo. Per il viaggiatore che ero e che sarò, anche da fermo”, scrive. Un brindisi che non chiude, semmai apre, non sigilla, piuttosto inaugura. Cosa? Un nuovo viaggio.

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