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il respiro del vento

Il testo di Lorenzo Cipriani, pubblicato — ed è significativo– nelle edizioni dei “Libri di
Mompracem”
, è il racconto di una avventura on the road , avvenuta tra le “tempeste
dell’Atlantico” e il “Pacifico[ quando] s’incazza”. Il libro, un po’ diario, un po’ autobiografia,
termina con la citazione di Talete–il filosofo per il quale l’acqua è l’origine di tutte le cose—e
ha come sua premessa l’ introduzione di un poeta come Giuseppe Yusuf Conte—acuta,
elogiativa e partecipe.

“Cipriani, scrive Conte, associandosi, si potrebbe dire, al Fedone di Platone, sembra dirci che
navigare è una metafora del vivere, e che chi concepisce la propria vita come una
navigazione…ha qualche probabilità in più…di sfiorarne il senso”. “Centrali nel racconto sono
gli incontri umani”, “Cipriani eccelle nelle descizioni del mare”, “sa raccontare con rispetto i
miti dei popoli”.

Al recensore che si inoltra nella scrittura, l’autore, fin dalle prime battute, appare come se
avesse voluto mettere insieme Walter Benjamin e Michel De Certau ; contaminando così , in
una sorta di “diario” di viaggio, lo sguardo esterno del cartografo, dell’osservatore imparziale
alle prese con la configurazione naturalistica dello spazio, e quello “rasoterra”, “autobiografico” , del viandante, del flaneur, che esperisce culturalmente(all’esterno della “caverna”
platonica), i luoghi e viene ferito dai loro umori.

“Vagando a caso, camminando senza meta, salendo su un mezzo pubblico per scendere
secondo l’ispirazione del momento” (p.151), Cipriani, di volta in volta immerge se stesso e il
lettore nel cuore dell’ “alterità” che impatta,.

In una commistione di sguardi il racconto si struttura con arte in un metaracconto, secondo
sequenze decisamente lontane da una pianificazione per così dire turistica. In primo piano,
nella narrazione, vengono focalizzate situazioni, immagini, scoperte, incontri ambigui,
equivoci, sorprendenti, inaspettati, che si riversano in altre “storie”—in una sorta di
interrogazione sull’identità nel viaggiare.

Cipriani, all’interno del testo, interviene come autore del libro e per sua ammissione come
lettore di altri libri, di altre storie. Nel colpo d’occhio che ordina e codifica i paesaggi, i corpi,
gli oggetti, i ruoli, trova rilievo soprattutto l’inquietudine. Cipriani: viaggiatore “senza qualità”,
è come un homo viator che, si sottrae alla mappa, all’”oggettività” geografica e della
conoscenza— comunque presenti e utilizzate—in un gioco di strategie e tattiche.
Esemplari di questa doppiezza e commistione sono, tra gli altri, alcuni episodi dove meglio la
partecipazione, il coinvolgimento dell’homo viator si dà all’ incrocio di alto e basso, tra colpo
d’occhio e sguardo rasoterra.

Sparsi in tutto il libro, in questi episodi il viaggiatore—ma anche autore— si autodenuncia e
rivolgendosi direttamente al lettore si ri-vela egli stesso come lettore.
Nelle “lunghe notti di veglia attraverso gli oceani” (pag. 239), le letture, come in un convivio,
tengono “compagnia”, “aiutano a comprendere”, forniscono “idee”, rimandano ad altre
letture, compiute nel “passato” (ivi).

Per una enumerazione a grandi tratti, ecco come la scrittura di Cipriani, che eccelle nell’arte di
nascondere l’arte, si fonde con l’introspezione e la dissimula nella citazione.
Rievocando la lettura di Coleridge, l’autore/lettore/viaggiatore ci dice che in mare si diventa
scaramantici , e cita: “litigare con gli uccelli in mare non porta buona sorte”.
Nel richiamarsi alla lettura di Melville, lo stesso’autore/lettore/viaggiatore ci parla del
Covid 19 che cambia il mondo (cap VI).

Attraverso Jack London senza smettere mai di farci partecipi delle sue letture di viaggio,
l’autore ci dipinge “l’estasi del marinaio” (cap. XIII). Indossando la maschera bifronte, del
lettore/autore, e senza abbandonare i panni del viaggiatore ci parla, nel capitolo dedicato alla
“Geografia emozionale” (Cap XVII), di un mood per così dire spinoziano-panteistico, o se si
vuole di un universo vivente con i suoi umori: gli umori degli oceani-l’oceano Pacifico “vaso di
malinconia”– e “dei venti, così come delle latitudini e dei luoghi”— flemmatici o collerici,
nell’alternarsi di sereno e tempesta.

In effetti, i luoghi guardati con l’occhio rasoterra sono peculiari : la baia di Santa Marta appare,
per così dire sanguigna, piena di vita “negli occhi delle persone” ; e così anche Moorea “ l’isola
delle lune di miele”, o Panama con il viaggio di nozze di “Giulia e Carlo”. Resta malinconica
l’isola di Saint Helena, ultima dimora di Napoleone; e di umore vario, forse flemmatico, Tahiti,
l’isola che rese “più barbaro”Gauguin, accolse Jacques Brel in “barca a vela”, prima di dargli
sepoltura, e dove “la vita è semplice… non molto diversa [da quella precedente].. la
colonizzazione”…

Il “viaggio”- l’odissea- di Lorenzo Cipriani ha inizio nel gennaio 2020 e termina nel giugno. Narrato in prima persona è una considerazione sull’impossibilità di conoscere il mondo una volta per tutte ed è una indagine sulle possibilità offerte dai libri di leggere il mondo. Il vissuto che l’autore riversa nella sua scrittura è esso stesso una odissea, imperneata ed espressa dalle letture, annunciata come in una epifania à la Joyce—in parallelo poetica e filosofica.

I territori toccati sono non solo geografici, indicativi della mappa, ma –come il mar dei
Caraibi che ricorda “il dubbio, la confusione mentale”(p. 208)— anche emotivi: nell’oceano
Pacifico, sulle orme di James Cook, si percepisce lo “spirito d’avventura” , il “regno dell’ignoto”
(p.132—l ‘illuminazione in un dettaglio.

Espresso in una scrittura alla Levi-Strauss, il senso della scoperta richiama per Cipriani la
propria origine e nello stesso tempo la meraviglia di fronte all’ignoto. In una specie di rimorso
“la sete di conoscenza”, lo “spirito di avventura”, ”di libertà e di speranza che anima ogni
viaggio”, (pag 17-18), sono messi a repentaglio. Non, come per tradizione, da naufragi, pirati e
simili, ma come sottolinea il poeta, Conte, nell’introduzione, da un virus che, semina solitudine, e sembra annientare libertà, speranza, la possibilità e il senso stesso, storico, del viaggiare ( cap.VI L’amore ai tempi della pandemia).

Forse, per questo, il viaggio ravviva nell’autore Cipriani oltre che una sorta di sprezzatura e la teoria degli umori, anche un sentimento del sublime, della grandezza della natura (Pascal) e il bisogno della preghiera. “Riuscivo a sentirmi parte del miracolo che la Natura ripete ogni giorno… e nutre tutte le creature” (p. 70).

E’ una preghiera, quella di cui sente il bisogno Cipriani , aperta, precaria, storica, una prex
propria del viaggiare per mare: incerta tra fedi e ragioni, suppone una seconda, innaturale
navigazione, è emotivamente mormorata aldilà del non potersi non dire cristiani.
Una navigazione/choc, che si esprime in forma epifanica, come è stato già sottolineato,
poetica e domestica, simile ad un ricordo di scuola. Da una parte all’altra mistica—derivata
dal cantico di Francesco—è contaminata da altre religiosità, da altri corpi inginocchiati
religionis causa , in luoghi cristiani e altri dal cristianesimo.

Come un esule, Cipriani viaggia oltre il mediterraneo , oltre le colonne d’Ercole, oltre le
crociate, il santo sepolcro, Ariosto, Tasso e le storie di cristiani e mussulmani, delle moschee
equivalenti dei ghetti nel mare nostrum (Cfr Ariosto and the Arabs. Context for the «Orlando
Furioso, a cura di Mario Casari, Monica Preti, Micheal Wyatt. Officina Libraria nella collanaI
Tatti Research Series 4, 2021).

Per chiudere. Un po’ diario, un po’ autobiografia, questo libro di Lorenzo Cipriani ci porta
ben oltre la Vecchia Europa. Nella svolta della mondializzazione l’autore , episcopus vagans,
rende i lettori, marinai del pensiero (cfr. ancora il tema della navigazione in Platone: il Fedone
e la Repubblica )

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1 commento su “il respiro del vento”

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