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la polizia della storia

Di Paolo Persichetti  abbiamo letto con molto interesse “ BRIGATE ROSSE dalle fabbriche alla “ campagna di primavera “, scritto in collaborazione con Marco Clementi, ricercatore presso l’Università della Calabria, autore di “ La pazzia di Aldo Moro “, ed Elisa Santalena, autrice di articoli e saggi sugli anni della “ rivolta italiana “, la questione carceraria ed i movimenti armati di contestazione.

Il breve riferimento a quel libro ha un senso in quanto nella copertina vi era un richiamo ad un lavoro  “ in progress “: volume 1. Ciò significa che, nelle idee degli autori, era in programma, quantomeno, un “ volume 2 “. Ebbene ad oggi ciò non si è verificato, e non si è verificato non per un volere degli autori ma bensì per la repressione che ha colpito Paolo Persichetti. Repressione che è andata ben a fondo rispetto al lavoro che Persichetti porta avanti da tempo. Un lavoro che è quello dello storico, del ricercatore. Il materiale su cui Paolo lavorava, gli strumenti di lavoro: tutto sequestrato. Non solo, l’accanimento  repressivo ha trovato espressione addirittura nel sequestro della documentazione sanitaria riferita al figlio, Sirio portatore di handicap.

Se ci trovassimo di fronte ad una realtà, spiacevole, potremmo dire che siamo di fronte ad un qualcosa riconducibile agli scritti di  Kafka. Ciò che può essere dato per certo è che gli investigatori romani sono sicuramente uomini di cultura e si sono ispirati allo scrittore boemo per mettere in piedi una inchiesta di questo tipo. Infatti ci troviamo di fronte non ad un reato, e quale poi?, ma al cercare il reato.

Certamente gli inquirenti romani per muoversi non potevano farlo  senza muovere accuse precise, e quindi ecco l’appartenenza ad associazione sovversiva con finalità di terrorismo. La prove della comportamento pericoloso  di Persichetti sono riconducibili al rapporto intercorso con il noto “ terrorista “ Battisti, il capro espiatorio buono per tutte le stagioni, arrestato  nel 2019; un presunto nuovo Soccorso Rosso in difesa degli esuli ed alle sue attenzioni verso l’assurda operazione “ OMBRE ROSSE “ portata avanti dalla magistratura italiana nei confronti di una decina di militanti politici degli anni ’70 rifugiati, da tempo, in Francia; ma soprattutto al lavoro di storico incentrato su un periodo, volutamente, rimosso, quello degli anni ’70 in Italia; alle relazioni con le fonti orali.

Quest’inchiesta giudiziaria mette sotto accusa la ricerca storiografica indipendente sugli anni ’70, perché c’è un pericolo: “ tramandare la memoria degli anni di piombo e delle organizzazioni combattenti per trovare consensi nelle nuove generazioni “, possiamo tranquillamente dire che ciò che è in atto è un vero e proprio attacco alla libertà di ricerca, alla possibilità di fare storia sugli anni ‘70. Ciò che si pone questa ennesima montatura è il controllo del passato per poter ipotecare un potenziale futuro conflittuale.

Quanto detto è il nucleo portante della vicenda e ciò va necessariamente evidenziato perché è la storia che è sotto sequestro e la ricostruzione di quanto avvenuto in questo paese deve essere una sola e deve essere quella ufficiale; nel momento in cui la montatura ha iniziato a dare segni di debolezza ecco che dal favoreggiamento si è passati alla rivelazione di notizie riservate perché è il terreno storiografico  il pretesto per cercare e costruire nuovi colpevoli da sbattere in prima pagina, perché l’emergenza “ terrorismo “ non abbia fine.

Quanto detto potrebbe essere sufficiente per descrivere  “La polizia della storia “ ma si farebbe un errore. L’errore è tralasciare quanto Persichetti, nonostante lo scarso materiale a disposizione, fa a proposito delle ricostruzioni complottiste, dietrologiche, avvenute sulla vicenda Moro, con le “ Commissioni parlamentari d’inchiesta “, vere e proprie officine di fake news,  a supporto; sugli avvenimenti riguardanti il sequestro, la prigionia ecc … di Aldo Moro; Persichetti sfata uno ad uno, in modo articolato, scientifico, metodo dello storico, tanti dei cosiddetti “ misteri “. La honda presente sul luogo dell’agguato; il parabrezza del motorino del “ testimone “; Moretti, arrestato nell’81 e tutt’oggi detenuto in semi libertà, infiltrato e via di questo passo. Un libro che ci fa capire quanto è la differenza tra verità storica e menzogna giudiziaria e che non può esistere una visione poliziesca della storia a patto di una rimozione del passato, di un passato scomodo.

Ciò a cui veniamo messi di fronte e che dobbiamo respingere con forza è un vero e proprio negazionismo storiografico e l’uso pubblico/politico della storia. Negazionismo e rimozione portato agli estremi , fino al punto che un previsto convegno su cause, effetti e conseguenze del sequestro Moro viene bloccato.

Altra caratteristica che emerge dalla lettura di questo libro è che si viene ricondotti nel clima esistente in quel periodo in Italia, nel ruolo che svolse il Partito Comunista rispetto al rapimento do Moro come argine alla protesta sociale; alle reazioni che tale rapimento suscitò nelle fabbriche, nelle scuole/università; al ruolo dei pentiti e dissociati che portano avanti una resa politica, che hanno vantaggi premiali in cambio di una ricostruzione di parte di quanto accaduto, e ultima annotazione, ultima non certo per importanza, quanto ci viene detto  sul livello concreto all’interno delle Brigate Rosse: non esisteva divisione tra lavoro intellettuale e manuale; tra lavoro politico e militare; tra lavoro logistico e lavoro pratico.

Alla fine delle 263 pagine possiamo dire che, nonostante le 27 condanne, le 5 inchieste ed i 4 processi a sentenza definitiva, non ci sono misteri, zone oscure, verità negate, patti di omertà o altro c’è solo, ancora, la caccia ai fantasmi di un passato che non passa.

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