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La Panchina delle cose difficili

Non si svela mai il finale di un romanzo; ma di una scheda di lettura sì, qualche volta ha senso. Quindi diciamolo subito: “La panchina delle cose difficili”, romanzo di Linda Traversi uscito nella collana Einaudi Ragazzi, è bellissimo. Dovrebbe essere letto e commentato a scuola, per cercare di spezzare gli atteggiamenti da branco che hanno troppi ragazzini, feroci con i più deboli, oggi più di ieri per l’inconsulto uso dei social; e dovrebbe essere analizzato dagli adulti, perché possano interpretare, aiutati dalla scrittura magica ed emozionante dell’autrice, cosa non devono fare con i propri figli e “per” i propri figli. Quindi: indica una strada. Ed è la prima ragione.

È poi bellissimo perché non ci sono eventi o descrizioni in secondo piano. Assomiglia a un luccicante diorama. C’è un quartiere popolare, con dodici palazzoni, che hanno il nome dei segni zodiacali; fra i blocchi ci sono giardinetti, viali ghiaiosi e angoli di terreno dove l’erba spunta a fatica. In questa zona di periferia vive Stella: ha 13 anni, una sorella maggiore in piena tempesta adolescenziale e, quindi, insopportabile; un padre operaio che finisce in cassa integrazione, abulico e distratto; una madre bigotta e già vecchia dentro.

Stella, che sa sognare e ama l’arte, ha una piccola malformazione alla mano destra, che chiama “la pinna” (atrofica, come quella di Nemo nel film Pixar): anulare e mignolo sono «fusi in un groviglio di pelle e tendini che a metterli controluce non si riconosce neanche lo scheletro».

Una cosa grave? No, ma che diventa tale a partire dall’atteggiamento ossessivo della madre, che la obbliga a cure riabilitative in realtà inutili. Questo contribuisce a far sì che lei si senta “diversa”, come capita a tanti, forse troppi, in quella fase di passaggio della vita.

Per fortuna Stella ha un posto tutto suo in cui alleggerisce l’anima: il mondo che disegna, a colori, in quaderni e bloc notes. Un universo fatto di pesci e animali marini. Sono quei disegni la polvere magica che l’aiuta ad attraversare un mondo che la respinge. E lei non riesce a reagire: incompresa a casa, bullizzata a scuola, chiede aiuto e consigli, scrivendo, prima al cielo; poi ad Antonio Ligabue.

Perché i quadri visionari dell’artista naif, ammirati in un museo, le aprono nuovi, coloratissimi orizzonti. Nel quartiere vivono altri presunti borderline: Gerry, un anziano che chiunque riterrebbe fuori di testa, perché passeggia nel parco con un grosso registratore con il quale ascolta canzoni di Califano; Agatina, una madre rimasta sola, che non fa altro che cucinare, anche se nessuno mangerà quei piatti; ed Emil, sedicenne dark che non accetta la vita normale e si nasconde nei meandri dei videogiochi. Li unisce, piano piano, la panchina del titolo, sulla quale si incontreranno prima due per volta, poi insieme. Una panchina che apre lo spazio all’immaginazione perché ha inciso, in un angolo, il simbolo del tredicesimo segno zodiacale, l’Ofiuco: una U maiuscola attraversata da un’onda.

Non c’è due senza tre: “La panchina delle cose difficili” infine è bellissimo perché Linda Traversi prende per mano il lettore e scatena le emozioni raccontando momenti dell’adolescenza che possono essere atroci per la cattiveria di ragazze e ragazzi. La scena delle prime mestruazioni di Stella, a scuola, e della derisione delle compagne, richiama uno fra i passaggi fondamentali del romanzo “Carrie” di Stephen King e del film omonimo di Brian De Palma. Ma Stella non è Sissy Spacek e non si vendica delle compagne. Nel mondo normale, troppo spesso ha la meglio chi è più crudele; e King racconta quasi sempre questa realtà. La panchina, e gli amici di Stella, sono invece la luce che spazza via tenebre e inverno, vince il male e riscalda il cuore della ragazza. E dei lettori.

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