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Parlano a noi le scrittrici da battaglia del Novecento

Dice Carlo Smuraglia che Carla Nespolo, presidente dell’Anpi scomparsa di recente, aveva impresso all’Associazione dei partigiani italiani un salto di qualità proprio perché era una donna e perché, pur non avendo partecipato direttamente alla lotta di Liberazione dal nazifascismo (era nata nel 1943), aveva cercato di valorizzare l’esperienza partigiana in tutte le sue forme e tra queste il ruolo svolto proprio dalle donne.

Va in questa stessa direzione il lavoro di Valeria Paola Babini, Parole armate. Le grandi scrittrici del Novecento italiano tra Resistenza ed emancipazione (Edizioni La Tartaruga), che ricostruisce una pagina di storia culturale italiana poco nota e “silenziata” nel tempo, quella delle donne scrittrici che fecero una scelta di campo durante l’ultima guerra mondiale e la mantennero in seguito, nel dopoguerra, diventando protagoniste di quel fervore narrativo senza precedenti, di quella vera e propria esplosione letteraria che ne fu tratto caratteristico. 

Le protagoniste di questo libro sono dunque, alla lettera, scrittrici da battaglia, che si mettono fisicamente in gioco nella Resistenza e che riversano il loro spirito combattente nel giornalismo e nella letteratura, nella pagina scritta usata come arma, per una democrazia capace di calarsi fino nei rapporti tra uomini e donne.

Sono, tra le tante, Fausta Cialente, scrittrice e fondatrice della trasmissione in lingua italiana Siamo italiani, parliamo agli italiani che andò in onda da Radio Cairo dal 1940 al 1943 e che nel 1976 si aggiudicò lo Strega con Le quattro ragazze Wieselberger. Alba De Céspedes, partigiana in trincea, poi nel 1943 animatrice su Radio Bari, con lo pseudonimo di Clorinda, della trasmissione Italia Combatte, fondatrice nel 1944 della rivista Mercurio, a cui collaboravano Croce,  De Ruggiero, Togliatti, ma anche Moravia, Hemingway, Sibilla Aleramo, Mino Maccari, Toti Scialoja, Renzo Vespignani; autrice dei celebri romanzi Nessuno torna indietro e Dalla parte di lei.

Con loro anche Anna Garofalo, autrice dal 1944 al 1956 della strepitosa trasmissione radio Parole di una donnaPaola Masino, giornalista e scrittrice, fondatrice della rivista La città  e collaboratrice di Spazio, Foemina, Vie Nuove, Noi donne. E ancora, va da sé, Natalia Ginzburg, Anna Banti, Maria Bellonci, Marise Ferro, Renata Viganò… 

Queste donne scrivono storie di donne desiderose di conquistare indipendenza, autonomia, partecipazione attiva alla vita civile e politica, e insieme di costruire relazioni di coppia non più improntate al sistema patriarcale, che il fascismo aveva esaltato, ma a condizioni di parità, di reciproco rispetto. Il rinnovamento per cui combattono non riguarda solo le istituzioni, ma anche l’etica, la mentalità, costumi, i sentimenti.

Scrivono anche di donne scomode, che hanno maneggiato le armi in battaglia e che (novità ghiotta per la cronaca “nera” di allora) le impugnano anche tra le pareti domestiche, come l’Alessandra di Dalla parte di lei, che mette fine con un colpo di pistola a un matrimonio segnato dall’incomunicabilità. Perché, dice Babini, una guerra si riflette anche nell’amore. Nelle riviste che fondano o a cui collaborano affrontano temi politici e sociali concreti, il ruolo della donna nella società, la maternità, il rapporto di coppia, la sperequazione tra i salari maschili e quelli femminili, la prostituzione, lo scandalo dell’esclusione delle donne dalla professione in magistratura, diritto conquistato solo nel 1963.

E’ un lavoro intellettuale originale e autentico (e misconosciuto), motivato da una volontà straordinaria:  “Siamo entrate nella lotta – scrivono – ne abbiamo fatto parte e vogliamo rimanerci, continuare ad offrire il nostro aiuto fin  dove è possibile. E da quel gradino non possiamo più scendere. Non possiamo e non  vogliamo”. 

Ma la battaglia sarà (come è) assai dura, perché nel nostro paese l’asimmetria del potere, scrive Babini,  permane legittimata e difesa dai codici e stratificata nelle mentalità di uomini e di donne. Con il passare degli anni le speranze di una liberazione che non fosse solo politica ma anche di genere, che si traducesse in una valorizzazione del mondo femminile nel nuovo stato democratico, si affievoliscono per queste donne fino ad una amara disillusione. L’iniziale spinta dovrà confrontarsi con l’inerzia e la resistenza al rinnovamento e misurare la fatica, le lacrime e il sangue che molte conquiste, che pure arriveranno nei decenni successivi della nostra storia, avrebbero richiesto.

Quanto la strada dell’emancipazione e della liberazione fosse e sia lunga e mai scontata lo sappiamo anche noi, donne di oggi.

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