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Orso ci parla ancora e non sono solo parole

Mentre scrivo, ascolto il Canto per Lorenzo Orsetti dei Whisky Trail, con il coro L’Altrocanto e piango. Dopo pochi giorni dalla ricorrenza della sua morte, a Firenze siamo tutti in lutto per questa perdita e al contempo orgogliosi delle sue scelte in nome della libertà e di una democrazia per tutti, a cominciare dal Rojava, terra in cui si combatte questa dura lotta contro tutti e contro tutto.

Lorenzo Orsetti è stato (purtroppo al passato) un anarchico e antifascista che ha scelto di combattere in Siria, a fianco della milizia curda Unità di Protezione Popolare (YPG) per sostenere i diritti delle minoranze civili siriane. A Firenze, tutti lo conoscono con il suo soprannome Orso, mentre i suoi compagni in Siria, lo conoscono con il nome da battaglia, Tekoşer Piling.

Sostenitore della causa curda contro lo Stato Islamico della Siria e dell’Iraq (ISIS), dal 2017 Lorenzo è in Siria, dove si dispiega in combattimenti contro le forze turche e filoturche, dove rimane vittima di un contrattacco nel villaggio siriano di Al-Baghuz Fawqani, nei pressi del confine con l’Iraq, la mattina del 18 marzo 2019. Il suo corpo riposa ora nel cimitero delle Porte Sante, nei pressi delle tombe dei martiri fiorentini della Resistenza italiana: e come loro è un martire della resistenza.

Nel suo testamento troviamo queste parole: «Ciao, se state leggendo questo messaggio è segno che non sono più a questo mondo. Beh, non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così; non ho rimpianti, sono morto facendo quello che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, eguaglianza e libertà.»

Orsetti è il secondo italiano ucciso dai miliziani dell’Isis dopo Giovanni Francesco Asperti, il 50enne originario di Bergamo morto il 7 dicembre 2018 nel governatorato di Al Hasakah, sempre in Siria. Fra i combattenti europei che si sono uniti alla causa curda, il volume dedicato a Orso edito da REDSTARPRESS, non dimentica Anna Campbell, colpita da un missile un anno prima. Come dice il padre della giovane anarchica femminista inglese: «Il mondo non sa che le armi ad alta tecnologia che hanno ucciso così tanti di voi re che hanno ucciso mia figlia sono state progettate e fabbricate in Gran Bretagna» (p. 59)

Questo volume raccoglie gli scritti, le foto e le trascrizioni delle interviste di Lorenzo “Orso” Orsetti nel periodo della sua permanenza in Siria. L’editore si è impegnato esclusivamente nel raccogliere e ricomporre su carta quello che già altrove era stato pubblicato e raccolto da lui stesso o dai suoi amici e familiari. Un libro che si legge tutto d’un soffio, con la speranza, alla fine, di trovare Lorenzo ancora in vita, come se fosse un essere quasi divino, nobilitato dai suoi ideali e scopi umanitari, capace di resurrezione.

Non è così. Purtroppo. Le sue parole, tuttavia, sono una testimonianza preziosa, materia di riflessione per tutti noi. In merito alla notizia dell’inaugurazione il 7 settembre del primo negozio di una nota multinazionale, Lorenzo s’indigna: «No, caro amico, se non ci vedi nulla di assurdo, se non scorgi la manipolazione che c’è dietro, la componente involutiva, i danni che tutto questo comporta, probabilmente sei parte del problema.» (p. 97) Siamo tutti parte del problema, e questo nessuno può negarlo dopo gli effetti devastanti della pandemia che ha messo in ginocchio il mondo intero.

Con ironia a chi sembra stupirsi della guerra in atto dice: «Metteremo solo fiori nei nostri cannoni. Vi aspettiamo con ansia per la perizia balistica.» (p.98) E ancora: «La legge non è uguale per tutti, e se chi a ‘sto giro non subirà (o subirà solo in minima parte) le conseguenze delle proprie meschine azioni, sarà solo l’ennesima riprova del marciume alla base e all’interno delle nostre istituzioni. Noi, comunque, sappiamo chi è Stato». (p.105)

Per Lorenzo non ci sono dubbi, giustizia e verità spesso non vanno d’accordo, come nel caso di Stefano Cucchi, il giovane sottoposto a custodia cautelare e pestato a morte da cinque carabinieri nel 2009: soltanto l’11 ottobre 2018 uno di loro lo ammette, ben nove anni dopo. «‘Il mattino ha l’odio in bocca’ ripeto spesso per scherzare, ma da queste parti è facile che lo scherzo risponda a verità». (p. 93)

Da lontano segue quello che accade in Italia, ma le sue giornate da combattente sono ben più feroci: episodi di morte e feriti sono ormai la quotidianità: «Strilla ‘Heval! Heval! Mentre lo ricuciono; e mi sembra di risentire un compagno che durante la prima operazione urlava nello stesso identico modo: aveva mezza faccia saltata, tanto che sotto la pelle s’intravedevano le ossa del cranio».  (p. 93).

Heval vuol dire compagni, amico, fratello. In queste circostanze diventa un suggello di un’unione che non ha uguali nella vita che si è lasciato alle spalle.  Quando si decide, come Lorenzo di combattere per la libertà e la democrazia, per una guerra di un altro popolo, che poi in ultima analisi è la guerra di tutti coloro che credono nella democrazia e nei diritti umani di tutti, si fa una scelta estrema, dove la propria lotta sorprende gli stessi curdi, come il guardiano del cimitero dei martiri a Qamişlo che gli dice: «Tu sei venuto qui a difendere la mia terra, a difendere la mia gente, tu sei i miei occhi, tu sei il mio cuore» (p.115).

Sono questi rapporti nuovi che sostengono Lorenzo nella sua scelta terribile di impugnare le armi. E non solo. Va oltre il popolo curdo. La scelta fa il giro del mondo: è indirizzata a tutti noi, che ora dopo il Covid forse abbiamo iniziato a pensare (non dico capire) che tutto il mondo è parte di uno stesso progetto, che il pianeta si salverà solo se tutti noi ci mettiamo in gioco e ci mettiamo davanti alle nostre responsabilità.

È necessario avviare nuove strategie ecologiche e instaurare un nuovo rapporto con la natura, ma anche capire che la democrazia non si può chiamare così se non è inclusiva e promotrice di diritti uguali per tutti. Il messaggio di Lorenzo è chiaro: «Solo sconfiggendo l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza. […] E ricordate sempre che ogni tempesta inizia con una singola goccia. Cercate di essere voi quella goccia».

Un testamento il suo che lo rende immortale nella resistenza di tutti i popoli contro le ingiustizie e le guerre soprattutto quando il bersaglio è un popolo. In Siria si combatte per un mondo migliore e la nuova democrazia di cui si parla in Rojava ha molto da insegnare alle nostre democrazie occidentali ancora incapaci di abbracciare complessivamente linee programmatiche di pace, inclusione e verde economia.

È buffa l’armata di Lorenzo: «C’è una certa estetica che ci accomuna tutti, ma ognuno indossa pezzi di uniformi diverse e kefieh dei più svariati colori. Sembriamo l’armata Brancaleone: siamo bellissimi!». (p.179).

La bellezza di cui parla Lorenzo non risiede nell’estetica, ma nei valori di cui ognuno di loro è portatore. L’invito non va fatto disperdere nel vento dell’indifferenza. Apriamo i nostri cuori al colorato mondo del futuro, forse così le economie al potere si orienteranno verso l’unica via possibile per la salvaguardia dell’ambiente e il futuro dei nostri figli: l’amore e non la guerra.

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