C’è ancora spazio per le novelle? C’è ancora bisogno di favole? Basterebbe la ricorrenza dei cento anni dalla nascita di Gianni Rodari per rispondere di sì, anche se oggi i fantasmi non abitano più ville e castelli, cacciati dalla luce elettrica e dalla modernità. E basta leggere le Novelle toscane di Ferdinando Paolieri, riproposte da Tarka edizioni, per riscoprire una tradizione che tra fine Ottocento ed inizio Novecento fu rinverdita da tanti scrittori-giornalisti, il più famoso dei quali è ovviamente Collodi con il suo Pinocchio.
Ferdinando Paolieri, come spiega Paolo Ciampi nell’interessante prefazione, era una figura eclettica, uomo dai molti ingegni ed interessi, anche pittore seguace dei Macchiaioli, e nel 1914 pubblicò la sua raccolta di novelle, molto toscane nel linguaggio e nei luoghi, dal contado fiorentino alla molto amata Maremma. Giornalista con la passione per la scrittura e la cosa pubblica, Paolieri pubblicò svariate opere, oltre a tenere una rubrica su La Nazione ed a scrivere romanzi erotici usando uno pseudonimo, oscillando tra progresso e reazione. La raccolta di novelle fa parte della collana “universo locale” di Tarka, che spazia tra le tradizioni popolari ed i territori – dalla Lunigiana alla storia del contrastato rapporto tra Livorno e Amedeo Modigliani. Il mondo di campagna, verso il quale lo scrittore fiorentino prova grande affetto, conscio che rischia di scomparire, è un’altra tessera di questo mosaico.
In questo libro ci sono contadini, contrabbandieri, cacciatori, presunte streghe, fantasmi certo, animali importanti come e più degli umani o che pensano e parlano, signori e servitori, nomi desueti e soprannomi, testamenti beffa, mestieri che non esistono più, storie quasi commoventi come la “quercia buona” che procura soldi e pane anche morendo perché si venderà la sua legna, in un mondo che non è lontano come sembra.
O forse sì. Ma, in ogni caso, l’odore della nostalgia è spesso il più buono e caldo, come quello dell’infanzia.