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Sulle tracce di Stevenson e di un paradiso che non c’è

Un grande amore, una grande disillusione, intrecciati in un lungo viaggio – allora ci si muoveva in nave – fino all’altra parte del mondo. In uno dei paradisi del Pacifico, Samoa, arcipelago mitico per definizione, assieme a tutta la Polinesia, reso più “vicino” dallo scrittore Robert Louis Stevenson, autore de L’isola del tesoro e de Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, che a Samoa si ritirò a scrivere, già famosissimo, e morì.

Ed è sulla fascinazione per Stevenson che Marcel Schowb, scrittore francese che a 18 anni era rimasto stregato da L’isola del tesoro, si imbarca da Marsiglia per Apia, capitale dell’arcipelago in un viaggio apparentemente senza senso, tanto più che lascia a casa l’amatissima moglie Marguerite, durato sei mesi tra il 1901 ed il 1902.

Verso Samoa. Sulle tracce di Stevenson di Marcel Schwob, ristampato da Tarka edizioni, fu pubblicato negli anni Trenta dello scorso secolo, molto dopo la morte dell’autore, e la traduzione di Gian Luigi Saraceni rispecchia il tono colloquiale delle lettere inviate alla moglie che si alternano all’acutezza delle osservazioni dell’intellettuale. Che sogna Samoa e la visita alla tomba dell’ammirato Stevenson ma sta con gli occhi ben aperti e fin da subito si scontra con il razzismo e la prepotenza della razza bianca che colonizzava mezzo mondo e che crea non poche difficoltà anche al suo servitore-infermiere che si chiama Ting ed ha il “torto” di essere cinese.

Verso Samoa ci porta in mondi solo apparentemente lontani nel tempo e nello spazio e l’empatia di Schwob ce lo rende amico e complice: lo affianchiamo nella noia dei giorni sempre uguali in nave come nelle escursioni, negli incontri con le varie popolazioni o con i boriosi e pedanti bianchi, nelle malattie che lo prostrano e nell’attesa delle lettere che impiegano settimana ad arrivare, nel sospirato sbarco sull’isola che allora era governata dai tedeschi e infine nel suo felice rapporto con i samoani che lo ribattezzano Tusitala, colui che racconta storie, come avevano fatto anni prima con Stevenson.

Non è giusto dire di più del viaggio e del libro – il bello è scoprire accadimenti e stati d’animo pagina per pagina – ma l’amore infinito è per Marguerite e la disillusione è per la meta finale, che non è quel paradiso che si attendeva come scrive senza mezzi termini.

Tornerà a casa Marcel, ma cambiato, tanto che non metterà più mano al materiale poi diventato libro, anche se continuerà a viaggiare fino alla morte. Un po’ come Hugo Pratt-Corto Maltese che si recò anche sulla tomba di Stevenson, dove sulla lapide ci sono i versi che lo scrittore aveva dettato come epitaffio:

Egli riposa qui, dove desiderava riposare. Dal mare è tornato a casa il marinaio. Dalle colline è tornato il cacciatore.

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