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La veglia di Ljuba e il sorriso alle cose storte

Dove? Dall’Istria per Trieste fino al Friuli. Quando? Dagli ultimi anni della seconda guerra mondiale a dopo il terremoto del Friuli. Perché? Perché chi fa un bilancio del vivere e del tempo lo attraversa due volte: uno per la casualità dell’esistere, l’altro per la scelta di capire.

Le anime de La veglia di Ljuba di Angelo Floramo (Bottega Errante) non vivono senza i paesaggi. La tessitura tra l’interiorità e l’esterno crea un grande arazzo, come quelli che vediamo appesi alle pareti dei palazzi e che narrano vicende epiche, amorose, della casata di appartenenza. E noi lì, di fronte alla maestria con cui il filo rende vive e vibranti le scene, restituendo ai nostri occhi la tridimensionalità del reale.

Una storia di famiglia che percorre i decenni e gli avvenimenti, lontana dal nostro tempo, ma assolutamente coinvolgente perché poggia sugli elementi sacri del vivere. Le figure sono scolpite dai tratti del sentimento, da ciò che è eternamente giusto e sbagliato, dall’umanità profonda che non dipende da un’epoca ma che tale è sempre. Il ritorno al paese d’origine del protagonista è l’esempio che vale per tutte le pagine della forza plastica dell’agire di donne e uomini fuori dal tempo, negli echi della classicità. Così come la sua morte, nello spazio anonimo di un ospedale, sottolinea l’eccezionalità di un’esistenza che si chiude.

Nella dicotomia che segna la storia tra assassini e uomini giusti, tra sogni e amare realtà, tra pazzi e sani di mente, tra ricchi e poveri, tra ipocrisia e riscatto, tra amore e stupro, tra privilegi e sacrifici, l’indifferenza del lettore è l’unico elemento assente. Questa è una storia a cui partecipi. Leggerla è riduttivo, svilente. Entri nell’arazzo corale e ti interroghi da quale parte stare, mettendo in discussione anche abitudini acquisite e idee sedimentate.

E’ la storia di un uomo, ma è la storia dell’uomo, quando vuole lasciare un segno nel cammino che il destino gli ha offerto dovunque esso parta e dovunque arrivi. E’ lo sguardo di un uomo, ma è lo sguardo dell’uomo che sa andare oltre la superficie per cogliere l’essenza della verità. E’ un pianto che sorride alle cose storte che la dignità redime.

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