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Quando l’azienda diventa mondo

Che cosa producono le sortite di un docente universitario, che, anticonformista per nascita, lasciati di tanto in tanto gli studi paludati, si avventuri con piglio antiaccademico a gettar lo sguardo su alcuni dei topoi più vieti della nostra contemporaneità (aziendalismo, unanimità di consensi, politicamente corretto a prescindere….), per cercare di trarne qualche pepato insegnamento di carattere generale?

E’ quanto può capire chi legga (e mediti) Il non memorabile verdetto dell’ingratitudine. Seguito dai Sei pensieri grati e gratis (Inscibolleth editore, 2021). Il docente in questione è Luciano Curreri, professore di Lingua e letteratura italiana all’Università di Liegi, i cui studi si concentrano principalmente sul secondo Ottocento italiano ed europeo: in evidenza, tra gli altri, D’Annunzio come personaggio nell’immaginario italiano ed europeo (2008), L’elmo e la rivolta (2011), Il peplum di Emilio (2012), Misure del ritorno. Scrittori, critici e altri revenants (2014), Play it again, Pinocchio (2017). Curreri, però, non disdegna affatto incursioni di rilievo nel territorio della pura narrativa, come con Quartiere non è quartiere (2013), Volevo scrivere un’altra cosa (2019), proposto per lo Strega dell’anno scorso, e da ultimo con questa tutt’altro che immemorabile prova.

La quarta di copertina definisce il testo come “distopia arrischiata e originale”. Come molte distopie, rifuggendo per statuto da riferimenti realistici, si appoggia sulle due colonne portanti del surreale e del paradossale. E di surreale e di paradossale ce n’è parecchio nella storia postuma riportata da un manoscritto, “carne e carta scannerizzati da remoto e spiritico supporto”, di Ludovico, eroe ed antieroe della vicenda, alto dignitario di una Azienda (non casualmente scritta con la A maiuscola), istituzione totalizzante quante altre mai, anzi, “un’istituzione sempre vecchia e sempre giovane a un tempo: eterna culla per molti, provvisoria croce per uno, necessaria e longeva carica per pochi”.

Ludovico, soggetto non omologabile ai “valori aziendali”, discretamente non conforme rispetto al modus vivendi approvato dall’istituzione e refrattario ad adeguarvisi, viene condannato dal tribunale aziendale (istituzione per adesso mancante nel panorama del capitalismo “reale”, ma un giorno chissà…) per plagio. In realtà la sua colpa consiste nell’aver tentato di aiutare (ma nel gesto di aiutare non è forse implicito anche quello di convincere che altra realtà è possibile?) un paio di giovani impiegati della stessa. Nella prigione aziendale (tutto è aziendale nell’universo curreriano….), dove sconta qualche anno di detenzione (inizialmente nove, poi ridotti a sei, e poi a tre), Ludovico ha modo riflettere sulla realtà vera dell’azienda (e quindi del mondo?). Lo fa anche il suo giudice, nonché vecchio amico, Lino Falco, che appunta, riflette e ricorda, e si diverte, vedendo come l’Azienda sia adesso impegnata in un ripulisti storico, valanga forse occasionata proprio dal processo a Ludovico.

Il racconto scivola nel finale verso gli “interilla”, ringraziamenti estesi ad una platea amplissima (comprendente, fra i tanti, anche chi scrive), che, come tiene a sottolineare l’autore, formano, contrariamente alla consuetudine, parte costitutiva del testo. Testimoniano infatti una ribadita fiducia che, nel possesso di un comune umanesimo, essenziale per la decifrazione del reale, possa ancora risiedere una qualche forma di salvezza, pur se solo intravista attraverso le macerie morali del mondo – azienda in cui Ludovico vive.

Avvolto nell’involucro di una prosa scoppiettante, sempre pronta a cogliere ogni occasione di deviazione per indagare lo scarto tra essere e dover essere, fluttuante con inaspettata leggerezza su esplorazioni psicologiche, notazioni sociologiche e divagazioni morali, il racconto di Curreri, quasi una forma aggiornata ai tempi nostri di conte philosophique, ci rivela le miserie dei luoghi comuni in materia di relazioni sociali che spesso stentiamo ad individuare.

Il non memorabile verdetto dell’ingratitudine allora è un libro da leggere più volte, da rimasticare con lentezza e senza pretesa di cogliere immediatamente tutto: un secondo passaggio rivela angoli di prospettiva nemmeno intuibili al primo. E i significati crescono, si accavallano rendendo da un lato percettibile la complessità della storia narrata, e dall’altro, ciò che più preme all’autore, suggerendo al lettore le modalità di comprensione del mondo in cui ci è toccato vivere.

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