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Il mondo nell’isola dalle ali di farfalla

L’isola dalle ali di farfalla toglie il fiato. Non sta ferma: corre giù, nel cobalto del mare per poi innalzarsi nel cielo che è quasi il suo riflesso. Un movimento che scombina i pensieri ma sa anche rimetterli in ordine, calmare l’inquietudine, preparare il ritorno.

E’ l’isola dell’allontanamento da un Paese “sconosciuto” nelle sue pulsioni e nei suoi accenti più retrivi; un Paese che parla con la pancia e alza muri, pone limiti, rifugge ciò che arriva da fuori e vede il fuori come una minaccia. Un paese rintanato in se stesso, attraversato dalla paura e dalla rabbia. E’ l’Italia degli ultimi anni, prima del Coronavirus.

L’isola è la giusta distanza, quella che serve per decidere di non perdersi e ritrovarsi; per sentire l’energia della vita che rigenera ogni cellula quando gli occhi nuotano nella distesa del mare o seguono le stradine polverose inerpicate fino alla sommità della roccia. Qui, resiste al tempo e alla danza del meltemi (il vento greco che spira sull’Egeo) la fortezza, un tempo avamposto di dominio, oggi presidio di storia e memoria, con tracce che si spingono fino alla gloriosa Repubblica di Venezia e alla saga della nobile famiglia veneziana dei Querini. 

Tracce antiche che si sommano a quelle più recenti e dolorose dell’occupazione nazista e fascista che ha seminato morte e distruzione. Gli italiani di allora non hanno lasciato un bel ricordo negli occhi liquidi dei vecchi isolani, seduti sul molo a ricamare reti e distendere le rughe dei volti segnati dal sole e dal sale.

L’isola dalle ali di farfalla è Astypalea e il mare quello solcato da Ulisse nei suoi mille viaggi e ritorni. Mar Egeo, custode della mitologia greca e culla della civiltà da cui tutto origina. 

E’ qui, nei silenzi della natura integra e dura, nel saluto di un “falchetto” che plana su uno scoglio dalle striature rosa, nella meraviglia di Syrna, un lembo di terra davanti ad Astypalea, come una “briciola caduta dalle mani del gigante” dove l’ultimo abitante se n’è andato nel 1999, che Tito Barbini, sceglie di vivere per alcuni mesi e da qui guardare le cose del mondo e dell’Italia che sente ostile. Dalla giusta distanza si ragiona meglio, senza infingimenti e in certi frangenti la solitudine è compagna fedele e necessaria per ridare senso e ripartire delineando un nuovo orizzonte. Per Tito Barbini è il viaggio, dimensione che ha scelto per la sua “seconda vita”, quando un giorno ha detto basta alla politica (ma continuando a coltivare la passione), lui che è cresciuto a pane e politica. Il mondo è diventato la sua mappa preziosa su cui segnare le tappe di un viaggio che dura da quindici anni e che ancora ha mète da raggiungere e condividere nei suoi tanti libri. 

Alzare e aprire lo sguardo proprio quando ciò che vedi davanti a te non è più come lo hai conosciuto e attraversato, è la “bussola” che Barbini utilizza ogni volta che riempie il suo zaino con libri, una buona scorta di penne e quaderni. 

Nella vita niente è per caso e la delusione di una politica-impolitica è stata la chiave per oltrepassare la porta del viaggio senza confini che lo ha reso scrittore appassionato di luoghi e di persone. Gli appunti di viaggio diventano narrazione che descrive il “fuori” ma anche il “dentro” della sua esperienza personale e umana. Così, il viaggio diventa di tutti, si fa comunitario. Come sull’isola dalle ali di farfalla dove Barbini scrive ventisei cartoline indirizzate all’amico giornalista e scrittore Paolo Ciampi

Ventisei istantanee da un’isola remota dell’Egeo, la più a sud, un migliaio di abitanti, terra di roccia, modellata dal vento e consumata dalla salsedine. 

E’ qui l’approdo di Tito Barbini che con Paolo Ciampi conduce una conversazione a distanza sui motivi dell’allontanamento e dello scoramento di fronte a un Paese che ha smarrito le radici, àncorate alla storia di questo mare e di quest’isola, alla tradizione dell’accoglienza e dell’umanità.

Ho letto il libro L’isola dalle ali di farfalla (Spartaco Edizioni) come in apnea, rapita dalla profondità dei ragionamenti e dall’intensità del racconto. Mi sono rimasti in testa alcuni concetti sui quali continuo a interrogarmi. Il concetto di umiltà, ad esempio, e i continui rimandi al pensiero dei classici greci di cui Barbini e Ciampi valorizzano la straordinaria attualità, il richiamo all’idea di Europa e alla visione dei padri costituenti che cozza con la Brexit e i sovranismi; il pugno nello stomaco del bambino annegato nel Mediterraneo ridotto ormai a fossa comune di popoli in cammino per non morire. Quando hanno recuperato il corpicino, hanno scoperto che la madre nella parte interna della maglietta aveva cucito la pagella della scuola coi voti da dieci e lode. Chi decide della vita di quel bambino? Eppure, così è stato e sono altri, da questa parte del Mediterraneo, ad averlo fatto. 

Ogni dettaglio dell’approdo ad Astypalea riluce nelle descrizioni ed è vivo, si può vedere e toccare. L’antico bastione sulla sommità della rocca e la pietra su cui “scorro le dita e ne sento il tempo” – scrive Barbini nella quindicesima cartolina a Ciampi, assomiglia alla Fortezza Bastiani de Il deserto dei tartari di Buzzati, “estremo avamposto al limitare di una terra ostile. Il deserto, distanza e mistero da cui, prima o poi, appariranno le sagome dei nemici. E Giovanni Drogo, il tenente che consentirà che la vita scorra via, in attesa della battaglia”. 

L’isola gli appare come quella Fortezza: “Il mare davanti, equivale a una terra scontrosa , avara di sé, innamorata del proprio silenzio. Distesa di acqua, distesa di dune: identica percezione del tempo e della solitudine. E anch’io, per come mi sento ora, sono Giovanni Drogo (…). E’ fin qui che ho voluto spingermi e ora è qui che mi dibatto tra la tentazione di perdermi e quella di ritrovarmi. Partenza e ritorno, ancora, in questa isola di luci e ombre, enigmi e rivelazioni, indolenze e sussulti”. 

E’ un mettersi a nudo, senza sconti, nel quale ho rintracciato una spiritualità sorprendente, non dichiarata, eppure interiorizzata e presente. 

L’isola dalle ali di farfalla è un libro da mangiare e metabolizzare usando il tempo che serve, perchè è nutrimento per la mente e l’anima, è arricchimento. 

Da Astypalea il volo sulle ali della farfalla ha un battito leggero e vitale, plana nella semplicità e autenticità del ritmo lento che allarga il respiro e apre la mente, recide il cordame che zavorra la nave impedendole di riprendere il largo (bellissima immagine che Barbini usa per descrivere lo stato d’animo che lo conduce sull’isola), si libra nell’aria profumata di salmastro e cerca nuovi approdi, nuovi incontri, nuovi itinerari. 

Non è una fuga, è un mutamento – dentro e fuori – che prelude già al ritorno. 

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