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Tra Napoleone e l’hascisc, la fuga dei tre disertori

Ho fra le mani questo libro, Il cannocchiale del tenente Dumont, dall’aspetto elegantissimo: copertina color crema circondata da una cornice con motivi di foglie nere su fondo blu e, al centro, tre figurine che sembrano prese da una collezione di soldatini d’epoca. L’autore, Marino Magliani, e l’editore, L’orma, sono di per sé una garanzia. Magliani è, nella mia opinione, uno dei migliori scrittori italiani viventi. La sua prosa è raffinatissima, poetica, il suo immaginario è costituito di paesaggi naturali rappresentati sempre con grande efficacia e amore per il dettaglio, che si tratti delle terre piatte e del mare grigio olandesi o delle asperità della terra ligure, con le sue rocce, i suoi strapiombi, le “scaglie di mare” che si riescono a intravedere qua e là, le terrazze coltivate con grande dedizione da gente di altri tempi.

E proprio di altri tempi si parla in questo straordinario romanzo: siamo nel 1800, l’anno della battaglia di Marengo. Tre soldati francesi, il capitano Philippe Lemoine, il tenente Gerard Henri Dumont e lo chasseur di origine basca Bernardo Gilbert Urruti abbandonano l’esercito e iniziano un lungo cammino su per le montagne, nascondendosi di giorno e spostandosi di notte, nel tentativo di raggiungere Porto Maurizio, dove sperano di trovare un imbarco. Il romanzo è la cronaca della loro fuga, del loro nascondersi, spiare col cannocchiale eventuali inseguitori, osservare da lontano i contadini intenti al loro lavoro o, da molto vicino, insetti e vermi intenti, anche loro, alle loro faccende. 

C’è un antefatto, la campagna d’Egitto, dalla quale i tre sono reduci, e c’è un retroscena: qualcuno li tiene d’occhio non in quanto disertori ma in qualità di consumatori di hascisc. Sembra infatti che in Egitto i soldati francesi abbiano fatto ampio consumo di questa droga, al momento poco conosciuta in Europa, e che molti di loro ne abbiano fatto scorta in vista del ritorno in Francia.

Il dottor Zomer, in collaborazione col dottor Larrey, servendosi di una spia dall’improbabile nome di Pangloss, ha in mente di studiare il caso di Lemoine, Dumont e Urruti in relazione al consumo di droga e agli effetti a esso collegati. Ecco quindi che i tre disertori sono seguiti e sorvegliati a distanza e mentre pensano di doversi guardare dall’accusa di tradimento sono, a loro insaputa, oggetto di studio in quanto tossici.

Fuga, ansia, sensazione di essere osservati, giornate lunghissime trascorse in nascondigli di fortuna, a spiare a loro volta, a inquadrare col cannocchiale squarci di paesaggio e contadini chini sui campi. Spostamenti che non seguono un itinerario prestabilito ma sono condizionati dalla presenza di insediamenti e persone che è necessario scansare; giri a vuoto, con la sensazione di tornare più volte nello stesso punto: e intanto Lemoine è malato, le scorte di gallette si esauriscono, ci si riduce a cibarsi di asparagi selvatici e di qualche mela, le possibilità di salvezza scemano ogni giorno che passa. 

Avventura e paesaggio, quindi, unitamente allo stile impeccabile, sono le componenti di questo romanzo affascinante e singolare, che lascia nel lettore un’impressione profonda.

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